In questa mostra sono rappresentate storie di persone e massacri, si racconta la pianificazione di un genocidio ma soprattutto l’indifferenza e la volontà di rimozione di quanto successo.
Vengono rappresentate figure di uomini e donne con i simboli ed i colori che le rappresentano all’interno dei campi di sterminio.
Sono raffigurate nel momento in cui, appena private della libertà, iniziano a perdere la loro identità, cominciano a diventare un tutt’uno con il simbolo, il colore ed il numero che si affaccia sulla loro pelle. Iniziano il percorso che li porterà alla morte.
Nella seconda parte della mostra, scandita da una canestra di melagrane, le persone scompaiono dalla scena ed insieme a loro scompare progressivamente il loro ricordo.
Rimangono solo forme colorate dove, chi guarda con attenzione, con la fatica che la ricerca di un ricordo impone, riesce a distinguere ancora degli uomini tra i frammenti di colore.
Infine la vista degli accadimenti con le foto aeree ci porta in alto, lontano dalle cose. Sono definiti in rosso i campi, le camere a gas ed i forni crematori, tutti nascosti e circondati da una campagna scolorita dalla indifferenza delle popolazioni che abitavano in prossimità dei campi.
Si arriva al bianco indifferente dell’ultimo trittico, dove nulla è più distinguibile.